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NECROPOLI DI CAPPELLA

Visita al colombario di Cappella (Monte di Procida)



Nel centro storico di Cappella, ai piedi di Monte di Procida e come estensione della valle di Bacoli, c’è una piazza dedicata a Michele  Sovente.

Sovente, poeta e uomo di cultura della città all’ultima fermata della  Cumana diceva nei suoi versi:

[Vuote statue brulicavano nelle budella / della Storia. Gran tumulto

sulla sommità / del monte faceva la legge. Di frodo cercavo / le

vestigia degli dei. Vertebre venature verruche / il turbine cieco aveva

dall’atmosfera catapultato. / Il turbine bieco le nubi aveva squarciato.

Soffiando cenere sulle statue. Dappertutto impalpabili / filamenti di

neve e luce biaccosa. Ruotavano schegge / magnetiche sul collo del

Minotauro che guazzava / nell’immensa palude del nulla e lo vomitata

a / quintali. La Storia furiosa e gloriosa gli depositava / in grembo

sterco su sterco. Onice e metalli. Fibbie / e gingilli. Macchine e

stratagemmi.

Di certo il poeta Flegreo ben sapeva cosa celavano i pochi metri di terra che la piccola frazione di Cappella nascondeva.

E di lì a pochi anni nei primi duemila venne alla luce per lavori in piazzetta Mercato di Sabato una delle necropoli più interessanti dei  Campi Flegrei.

Sicuramente era parte di un complesso di strutture funerarie che dal  porto di Misenum arrivava fino al municipium di Cumae. Parecchie  strutture ipogee che oggi giacciono sotto fondamenta di tufo e  cemento armato. La nostra fortuna è stata la ristrutturazione della  piazzetta (che poi sarà intitolata allo stesso  Sovente) e la conseguente   scoperta del sepolcreto utilizzato per dare sepoltura ai marinai della Classis Misenensis.

Entrando dall’angusto cancello si accede alla scala di ferro che poi  porterà al livello di calpestio. Nello scendere si scorgono le stratigrafie  di millenni di storia dove, prepotenti, fanno capolino moderni mattoni

in laterizio o sassi di cemento armato.

Poche stentate piantine di paretaria si aggrappano a quelle pareti da  cui gocciolano resti di una grande storia.

Nello scendere il pensiero va alle persone che sono state sepolte in  questi luoghi: un marinaio semplice, Tiberio Claudio Phoebo,  originario dell'Asia Minore, che visse trent'anni e che per quattordici è stato al servizio della Classis Misenensis sulla nave trireme di nome  "Capricorno".

A questi aveva dedicato un’epigrafe Lucio Vibio Valente ufficiale della  stessa nave.

Cosa legava questi due uomini? Quale profondo senso di amicizia  legava Lucio a Tiberio? Ci sono domande a cui non avremo mai  risposta. Ma posti come questi ci aiutano a pensare. Pensare come anche nel passato gli uomini dovevano affidarsi gli uni agli altri per poter affrontare un mondo ostile e ricco di misteri. Perché vivere è come stare in una grande nave. Ognuno ha il suo posto ed ognuno  deve pensare al proprio fratello… oppure nel momento della tempesta  saremo tutti come dei topi… ognuno che scappa per conto proprio… ma nessuno si salva.

La luce arriva a stento nella necropoli, nel secondo ambiente mi sorprende la vista di un teschio, era lui Tiberio?  O qualcun altro che era stato al servizio su qualche altra nave? Le orbite vuote mi fissano, cercano le mie stesse risposte: chi sono? Sarò ricordato dai miei discendenti? O resterò un teschio anonimo a monito di quanto sia fugace la vita?

Questa compagnia mi lascia un profondo turbamento, avrò io stesso il coraggio di affrontare la morte una volta che si avvicinerà alla mia nave? O resterò terrorizzato da quanto si possa essere inermi di fronte all’eternità?

Nessuno è per sempre.

Almeno possiamo esserlo fin quando qualcuno ci ricorda o ha memoria di noi.

Queste pietre, questi mausolei, avevano lo scopo di ricordare grandi uomini, di tenerli come faro per l’umanità… ma di molti di loro abbiamo perso i nomi, abbiamo perso le storie. Sappiamo, per sommi capi cosa facevano e come lo facevano… ma chi potrà sentire più la meraviglia di Tiberio nel vedersi avvicinare una nuova terra ai confini del mare? Quali orecchie potranno sentire gli ordini impartiti per ancorare la nave, il gorgoglio delle onde, i remi che sbattono sull’acqua? Sono rumori persi nelle storie del tempo… anche se studiamo la Storia non possiamo sentire le loro voci. Mi domando quanta vita sia andata persa in queste terre? E quanti di questi tesori siano stati presi da mani disoneste? Il gladio di un guerriero, le monete di una recluta, le lucerne di un mercante, quante di queste cose sono sepolte in scaffali moderni nascoste alla vista di tutti? E quale sottile piacere si prova a privare il mondo di quello che gli appartiene di diritto? Di quello che appartiene a TUTTI?

Saluto Tiberio senza dare una risposta a nessuna di queste domande.

Affacciandomi nell’ambiente successivo alzo la testa e noto lei: Selene! Divinità lunare, a lei, come a Iside, si affidavano i marinai e i naviganti. E in questa stanza, dall’alto, lei ancora li protegge nel loro ultimo viaggio. Nella nave che attraversa l’ultimo mare tra la vita e la morte. Le figure geometriche e colorate si incastrano con i loculi che un tempo offrivano conforto a quanto qui venivano a rendere omaggio a questi uomini.

Nelle pietre si può ancora sentire la preghiera che intonavano:

- quoque nomine, quoque ritu, quaqua facie te fas est invocare:

tu meis iam nunc extremis aerumnis subsiste,

tu fortunam conlapsam adfirma,

tu saevis exanclatis casibus pausam pacem tribue -

- con qualsiasi nome, con qualsiasi rito,

sotto qualunque aspetto è lecito invocarti:

concedimi il tuo aiuto nell'ora delle estreme tribolazioni,

rinsalda la mia afflitta fortuna,

e dopo tante disgrazie che ho sofferto dammi pace e riposo. -

(Preghiera a Iside- Apuleio)

Posti come questo hanno proprio questo scopo: dare conforto, curare le afflizioni e rendere chiara una cosa: la vita non ritorna, avete il dovere di viverla.

Riprendo le scale di ferro, il cancello ritorna ad essere chiuso, vago nella piccola frazione dove vive gente dai lineamenti che appartengono a tutto il mediterraneo, nei loro volti si vedono quelli dei loro antenati, marinai venuti da Alessandria, dalla Tracia, e da tutte le parti dell’impeto in cerca di un posto in quel mondo antico, un posto da cittadino romano.

Nei loro occhi di oggi c’è tutta la storia di un impero che ha dominato il mediterraneo per almeno mille anni. Sono loro il ricordo, la memoria vivente, di quegli uomini vissuti secoli fa.

…ai fantasmi futuri la via

e l'alto e il basso abitano lo

stesso piano)

e si addensa vieppiù nei

giorni la scrittura

che cattura le meteore del

passato:

sotto il sole - lassù - a

perdifiato parlano i ruderi

oscuri della storia.

Ruderi - Michele Sovente

 
 
 

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